top of page
Immagine del redattoreUlisse Adriatico

AlgaPackaging: di cosa parliamo?

Ci siamo lasciati con alcuni articoli sull'alimentazione animale e il suo legame con le alghe; riprendiamo ora il tema degli utilizzi delle alghe partendo dal packaging, ovvero dagli imballaggi.



Introduzione



L’inquinamento degli ambienti costieri e marini è un problema globale che negli ultimi anni è sotto i riflettori dal momento che il tema della sostenibilità è diventato centrale nei tavoli di confronto mondiali.

Diversi studi indicano che il 70 – 80% dei rifiuti, che arrivano in mare, sono di plastica e di varie dimensioni, dalle bottiglie o contenitori fino a piccolissime particelle invisibili ad occhio nudo. E’ ormai noto che le microparticelle di plastica possono essere facilmente assimilate dagli organismi marini, influenzando la loro fisiologia e il loro metabolismo provocando così la morte dell’organismo o l’accumulo di sostanze dannose nei tessuti che potrebbero danneggiare sia l’organismo stesso sia i suoi predatori.





L’accumulo di oggetti in plastica in mare è dovuto ad uso e gestione insostenibili dei rifiuti: il risultato sono 8 tonnellate di rifiuti plastici immessi in mare ogni anno e le statistiche prevedono che il numero aumenterà di 1 ogni 3 tonnellate di pesce entro il 2025.

Dalle indagini fatte sui rifiuti in plastica, i più comuni risultano essere gli imballaggi, cioè tutte pellicole, confezioni e vaschette nelle quali viene venduto il cibo dei supermercati.


I governi più sensibili alla tematica, hanno avviato ricerche per ridurre l’accumulo dei rifiuti sfruttando un approccio multidisciplinare: oltre ad aumentare gli studi sul ciclo vitale della plastica con queste ricerche, si è proposto l’utilizzo di nuove tecnologie per creare materiali alternativi per gli imballaggi basati sui biopolimeri.



Tutti i biopolimeri sembrano adatti per creare imballaggi?

Vediamo insieme vantaggi e svantaggi.



Non tutti gli imballaggi con materiali rinnovabili hanno la stessa resistenza di quelli in plastica, con una conseguente riduzione del peso delle confezioni: se si vuole produrre una confezione che possa sopportare un peso maggiore, bisognerà utilizzare il molto più materiale rinnovabile.


Altra problematica, è la reperibilità dei biopolimeri per produrre le quantità di imballaggi adatte alla domanda del mercato. I soli biopolimeri prodotti da materiali rinnovabili come quelli provenienti da foreste sostenibili o dal riciclo dei materiali non coprono, come già dimostrato, la domanda del mercato.


Il vantaggio ambientale nell'utilizzo dei biopolimeri per gli imballaggi è la durabilità minore dal momento che riescono più facilmente a degradarsi rispetto ad un imballaggio in plastica, che potrebbe resistere per centinaia di anni: ciò ridurrebbe quindi l’accumulo dei rifiuti e gli impatti ambientali risulterebbero ridotti dato che i biopolimeri sono molecole molto simili a quelle naturali.






Le soluzioni



Per ovviare al problema della reperibilità, si è pensato di sfruttare le macroalghe marine per produrre imballaggi dal momento che contengono all’interno del loro tallo gli idrocolloidi, macromolecole con grandi potenzialità di applicazione nell’industria, ed anche per la velocità di crescita tipica delle alghe.


Gli idrocolloidi, il cui nome deriva dal greco idro - acqua - e cola - colla -, sono macromolecole ricavate da due gruppi di alghe: le alghe rosse che contengono agar agar e carragenano e le alghe brune che presentano gli alginati. Questi, come dicevamo prima, hanno trovato una vasta gamma di applicazioni nell’industria alimentare, dei mangimi, farmaceutica e cosmetica, ma ad oggi vedono un'ulteriore applicazione nel campo degli imballaggi ecosostenibili. Il biopolimero usato è molto simile a quello naturale, le uniche modificazioni nella polimerizzazione possono essere date dalla temperatura elevata applicata durante la lavorazione.


Alcuni imballaggi a base di biopolimeri algali sono già stati prodotti dalle aziende come esperimento, però non è ancora stata studiata la biodegradabilità, anche se si ipotizza che la loro degradazione sia paragonabile a quella di una macroalga in natura. Al contrario, il PLA, chiamata comunemente “bioplastica”, è considerato biodegradabile in condizioni di compostaggio industriale, cioè attraverso un processo industriale che lo rende compost o concime. La bioplastica, se abbandonata in natura, risulta resistere fino ad un anno prima di degradarsi. Mentre gli imballaggi composti da idrocolloidi si degraderebbero prima di un anno evitando così l’accumulo di rifiuti in natura e i possibili effetti negativi derivanti.





La produzione



Il biopolimero a base di macroalghe viene ricavato attraverso vari processi con differenti quantitativi di risorse ed energie. Ci sono tre processi principali per estrarre il materiale da imballaggio dalle macroalghe in forma pura o semi-raffinata e si suddividono in:

  • colata della soluzione, partendo da materiale alghe in stato liquido o di pasta;

  • stampaggio a pressa, a partire da materiale algale in polvere;

  • estrusione, partendo da materiale algale in stato semisolido.

Tra i tre processi, quello più economicamente competitivo per il campo industriale è l’estrusione, che può essere di diverse tipologie: umida, a secco o a semi-secco. La tipologia di processo più adatta per lavorare gli idrocolloidi è quella a secco, anche se presenta una criticità dovuta alla riduzione dell’umidità nel prodotto che causa una diminuzione della flessibilità dell’imballaggio. Il problema potrebbe essere risolto all’80% utilizzando il processo di estrusione semi-secco, che è già in fase di sviluppo presso alcune aziende.



Foto: Macchinario per la produzione di imballaggi a base di biopolimeri algali che usa la tecnica dell’estrusione semi-secca(Estrusore Brabender TwinLab-C).


Al momento, i processi di produzione, nello specifico i macchinari, non sono economicamente vantaggiosi rispetto a quelli delle convenzionali plastiche a base di petrolio proprio perché ancora in fase di studio e sperimentazione. In più, sono necessarie ulteriori ricerche per capire quali specie di macroalghe siano più adatte per un imballaggio flessibile o per uno più rigido.



Sintesi



La presenza di enormi quantità di plastica nei mari e negli oceani è un grande problema, attuale e futuro: vari governi ne hanno preso atto ed è in corso una transizione verso materiali ecosostenibili e biodegradabili a base di diversi materiali. L'utilizzo di alghe in tal senso ha grandi vantaggi ma il processo è ancora nelle sue prime fasi: occorre ancora molto studio e sperimentazione.


Come sempre, vi invitiamo ad approfondire, a toccare con mano l’argomento e a commentare questo e gli altri nostri articoli.


Per quanto riguarda i nostri appuntamenti, #stayTuned per il prossimo articolo sugli utilizzi delle alghe!


Potete trovare altri contenuti sul Progetto e sul suo stato di avanzamento su questo blog, sul nostro sito e sui nostri canali social.


Se avete domande o suggerimenti, siamo sempre molto contenti di conoscerli.



Grazie per l’attenzione e al prossimo articolo!



Ulisse



Autore: Chiara Evangelista

Editor: Lisa Mustone



BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

  • SCHMIDTCHEN Ludwig, et al., “Processing technologies for solid and flexible packaging materials from macroalgae”. Algal Research, 2022, 61: 102300.

  • STEVEN S.; OCTIANO Ilham; MARDIYATI Y., “Cladophora algae cellulose and starch based bio-composite as an alternative for environmentally friendly packaging material”. In: AIP Conference Proceedings. AIP Publishing, 2020.

  • SUBHALAKSHMI S. U., et al., “Edible Biopolymers from Marine Algae used as an Alternate Packaging material”: A Review on their characteristics and properties. JOURNAL OF ADVANCED APPLIED SCIENTIFIC RESEARCH, 2023, 5.2.


Post recenti

Mostra tutti

Comentários


bottom of page